8 marzo festa(?) della donna
E si ostinano tutti a chiamarla festa…
Ma di che?
(07.03.2014)
di Maria Agrippina Amantìa
E’ strano come col tempo certe cose, fatti o avvenimenti cambino senso.
L’8 marzo è una ricorrenza.
E un commemorazione: un anniversario che vuole ricordare qualcosa.
Molti pensano che la festa della Donna sia nata in memoria delle operaie morte nel rogo di una fabbrica di New York… In realtà la storia è molto più complessa.
L’8 marzo del 1946, per la prima volta, tutta l’Italia ha ricordato la Festa della Donna ed è stata “scelta la mimosa” come simbolo della ricorrenza, perché la massima fioritura di questo delicatissimo fiore, si ha proprio fra gli ultimi giorni di febbraio ed i primi giorni di marzo..
L’iniziativa prese forza nel 1945, quando l’Unione Donne in Italia (formata da donne del Pci, Psi, Partito d’Azione, Sinistra Cristiana e Democrazia del Lavoro) celebrò la Giornata della Donna nelle zone dell’Italia già liberate dal Fascismo.
Ma la data dell’8 marzo era entrata per la prima volta nella storia della Festa della Donna nel 1917, quando in quel giorno le donne di San Pietroburgo scesero in piazza per chiedere la fine della guerra, dando così vita alla «rivoluzione russa di febbraio».
Fu questo l’evento a cui si ispirarono le delegate della Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste a Mosca quando scelsero l’8 marzo come data in cui istituire la Giornata Internazionale dell’Operaia.
Questo era il senso! Ma con gli anni, e come spesso purtroppo avviene, le cose vengono stravolte – a volte per ignoranza, altre, malignamente – e assumono ben altro significato.
Assistiamo quindi ad un cambiamento di significato epocale: la commemorazione di un fatto doloroso diventa motivo di festa!
Ed ecco che così, ogni anno, milioni di donne, specie in Italia, l’8 di marzo, riempiono i locali di ritrovo, ristoranti, pizzerie, pub ecc. e si riuniscono da sole, senza mariti, fidanzati , padri…
Banditi assolutamente gli uomini, insomma!
Per commemorare, direte voi? No.
Per festeggiare, gozzovigliare e credendo, così, di esprimere la loro femminilità. Non sapendo che così facendo, portano all’infimo termine il grande, unico, alto significato del chiamarsi “Donna”… “d’ESSER DONNA”, ossia… “il principio di tutto!”
Quei locali, quella sera sono rigorosamente vietati agli uomini, ad esclusione dei camerieri, e di alcuni che vengono appositamente ingaggiati per esibirsi, in vari spogliarelli maschili, davanti a “femmine scatenate” – NON DONNE! – che si sentono in dovere di irretirli con tutti i mezzi di cui Madre Natura le ha fornite. E non è insolito assistere a scene a dir poco bassamente volgari, le cui protagoniste sono donne che fino al mattino, erano madri, mogli e fidanzate dignitose: come se quella sera buttassero via la loro maschera di rispettabilità e ne indossassero una che non ha niente a che vedere con il loro agire… con il loro sacrificio, con il loro quotidiano “Esser Donne”.
Donne, madri, figlie, suocere, fidanzate che tornano a casa quasi ubriache e felici: felici d’aver dimostrato, a quella maniera… d’essere… “Moderne”…“Libere”…“EMANCIPATE”!…
Tutte che… “sventolano” il loro rametto di mimosa in mano e tutte contente d’aver festeggiato la festa della donna.
Sì, e certamente scritto con la “d” che più… “minuscola” non si può.
Che vi devo dire? Contente voi…
Allora…
buon 8 marzo, donne…