La lotteria del Numero Chiuso all’Università
E le normative sul numero chiuso possono intaccare diritti costituzionali quali il diritto allo studio e la libertà personale di scelta
di Alfredo Labate Grimaldi (22.09.2008)
Maree di decine di migliaia di ragazzi, per un centinaio solo di posti disponibili.
Occhi stralunati, volti pieni di speranze ed anche di… esasperazione.
Le Forze dell’ordine a disciplinare afflussi e a prevenire possibili incidenti.
Queste le scene, viste nelle città d’Italia, sedi delle maggiori università, fuori degli atenei.
Dietro le quinte, manovre per sapere in anticipo i test d’ammissione, ricerca di raccomandazioni, e negli anni passati, decine di casi di autentici “brogli”, passati poi al vaglio della Magistratura.
Questo il quadro, oggi, della scelta di una Facoltà universitaria, di un corso di studi che dovrebbe essere, invece, momento gioioso e sereno di avveduta scelta, vissuto e condiviso con gli affetti familiari.
Come una volta, quando, sin dagli anni delle Medie, i genitori “spiavano” le predilezioni del figlio verso quella o quell’altra materia; e poi si stava attenti a che queste predilezioni fossero confermate negli anni… e poi, si tentava di intravedere o si ascoltavano i sogni dei ragazzi e… infine, si valutava se la famiglia poteva permettersi quel corso di studi particolarmente lungo che magari avrebbe rimandato nel tempo i primi guadagni e che, forse, avrebbe imposto al ragazzo di abitare fuori, lontano da casa e, quindi, avrebbe preteso un maggior esborso di danaro da parte della famiglia…
Non pensiamo che per determinate scelte che i ragazzi han sempre fatte serenamente e con giudizio nell’ambito delle famiglie, debba entrarci prepotente lo Stato o chi per esso, quali Enti o Istituzioni pubbliche ad imporre scelte che sono estremamente personali ed in sincrono con una intera personalità del giovane, non ignorando anche giusti aneliti ed aspirazioni e, perché no?… sogni.
Compito d’uno Stato e suo interesse -diciamolo pure- è anche quello di favorire lo sviluppo delle qualità del singolo e le sue naturali predisposizioni; anzi, investire su di esse come è avvenuto nell’arco della sua storia in Unione Sovietica, perché è naturale che i frutti di tale investimento ricadano poi, sulla collettività.
E non certo, tarparne ali e sogni con degli esami di ammissione che rappresentano una strettoia non certo molto democratica nella vita d’un giovane e senz’altro traumatica, che in nove casi su dieci rappresenterà uno stop nella sua crescita formativa e lo indirizzerà verso altre strade che sicuramente, proprio per essere stata forzata la scelta, si riveleranno fallimentari.
Fallimentari per l’individuo, inutilmente dispendiose per la famiglia e un investimento sbagliato per la Società che non ne guadagnerà un lavoratore convinto, un professionista impegnato, ma ne avrà, di rimando, una persona che trascinerà la propria vita lavorativa senza entusiasmi, senza alcuna passione e tanto meno impegno, involontariamente defraudando l’intera Società, ma soprattutto privandola d’un apporto professionale ben diverso, nel caso avesse potuto seguire le proprie predisposizioni naturali.
E non chiamateli seri, per piacere i test di ammissione! Perché seri non lo sono affatto e tanto meno attendibili! Essi rappresentano la dimostrazione del vuoto, il festival dell’insulsaggine, la “prova del 9” del “fare, tanto per fare”!
Parrebbe… -parrebbe diciamo- che questo sistema stesse a privilegiare i veri meriti ed operasse una specie di selezione giusta e sociale, equiparando i ceti, ma non è così.
Non ci illudiamo! In Italia, sempre ci sarà una disparità tra ceti economico-sociali, alla partenza: disparità che farà la differenza alla fine della corsa.
Tra due ragazzi egualmente dotati, spesso prevale colui che per posizione economica può attingere ad una maggiore quantità di conoscenze e può anche disporre di insegnamenti d’ausilio e può, per censo, contare su di una sfera di agganci sociali che possono alla fine, determinare il successo dell’uno, a discapito dell’altro.
Una equiparazione di scelta, cioè una scelta libera, garantirebbe una uguale partenza per tutti i giovani, azzerando un qualsivoglia vantaggio.
Guardate che, se da una scelta libera ma sbagliata ne uscisse un pessimo avvocato, sarebbero le severe regole della vita stessa che ne boccerebbero inesorabilmente la vita professionale, stroncandogliela sul nascere.
E poi… diciamola francamente che, dopo -nel 1969- la liberalizzazione dell’accesso alle Università per tutti i diplomi di maturità quinquennali, l’Italia -solo per fare qualche esempio- è piena, zeppa di Ragionieri divenuti ottimi insegnanti di Lettere e di Periti Industriali diventati apprezzati penalisti!
Ed invece, sapete che il mondo delle professioni è parimenti pieno, zeppo di pessimi avocati e medici che avrebbero voluto fare, per esempio, gli ingegneri aerospaziali e… l‘avrebbero saputo fare anche egregiamente?
Si dice… si dice che bisogna evitare che -tanto per citare una categoria professionale più delle altre nell’occhio del ciclone- ci sia, alla fine, una moltitudine di medici disoccupati che non sanno come guadagnarsi la giornata, e che, quindi, bisogna pensare ad indirizzare i giovani verso professioni che abbiano, stando al mercato, soddisfacenti sbocchi lavorativo-occupazionali.
Invece noi affermiamo ch’è meglio un medico convinto, che faccia fatica a campar la vita, ma lo faccia con dignità e spirito altamente professionali, che un avvocato “mancato medico” che guadagni magari bene, ma che sia, dentro se stesso, un avvocato fallito.
Crediamo, quindi, di dover dire basta ad un sistema e ad una normativa che pensiamo e, peggio temiamo, possa quanto meno ledere la particolare sfera dei diritti della persona, in generale, e, più in particolare, intaccare in forma sostanziale il “diritto allo studio” e l’arricchimento spirituale ed educativo del singolo, in particolare della Persona, quindi, del Cittadino.
Crediamo di dover dire basta ad un sistema di selezione che non è altro che un gioco d’azzardo, un’autentica “lotteria” o “roulette” che dir si voglia, un sistema che non fa selezione, e ove la facesse, non fa, assolutamente, selezione giusta.
Crediamo di dover dire basta ad un sistema che lungi dal rappresentare un progresso per la Società civile dell’Italia, non produce altro che ingiustizie, malesseri di vita e sociali, ma, soprattutto, brogli e imbrogli, Italioti tutti!
Crediamo di dover dire assolutamente basta, in definitiva, ad una normativa falsa nei principi e fors’anche anticostituzionale. Ma certamente antipedagogica ed antisociale per la crescita del giovane, che viene penalizzata e spesso strozzata, in una delle fasi più delicate della vita di studente e di aspirante Uomo e Cittadino.
Nota: le immagini dell’Ateneo di Padova sono di Giorgio Mattoschi